In CNAO convivono due anime, quella tecnica e quella clinica, che si alimentano reciprocamente per dare nuova speranza ai pazienti oncologici attraverso l’adroterapia, perché la scienza è patrimonio di tutti.
ING. GIUSEPPE VENCHI Responsabile Dipartimento Tecnico CNAO
CNAO è uno dei centri più importanti e l’unico in Italia in grado di erogare trattamenti di adroterapia mediante l’impiego di protoni e ioni carbonio. Come ci si sente a lavorare in una delle realtà più qualificate nel panorama mondiale della clinica e della ricerca?
È vero: CNAO è una realtà estremamente particolare, sia per il fatto di essere gli unici in Italia e tra i pochi al mondo ad offrire questo tipo di trattamento, sia perché da un punto di vista tecnico l’acceleratore e gli impianti sono unici: l’acceleratore è un prototipo che è stato progettato, installato e attivato dalle persone che adesso lo fanno funzionare, con la fondamentale collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e del CERN di Ginevra. Fatta questa premessa è evidente che sarebbe molto facile cadere nella retorica dei superlativi. I miei colleghi ed io, però, stiamo attenti a tenere i piedi ben piantati in terra, rimanendo concentrati sulle attività e i progetti, tanti, che abbiamo in corso. Nel mio caso poi, ma tanti colleghi sono in situazioni simili, si tratta di un’avventura iniziata tanto tempo fa: il mio primo contatto con il CNAO è avvenuto nella primavera del 2003, quando dove ora c’è CNAO c’era solo un prato. All’epoca avevo da poco finito il dottorato in Università e stavo accarezzando l’idea di affrontare la carriera accademica, quando mi proposero di progettare un convertitore di potenza piuttosto originale. Nell’estate ho iniziato a lavorare ad un’idea che mi era venuta e che un paio di anni più tardi è diventata una macchina che sta funzionando giù, in Sala Alimentatori; da lì, un passo per volta, il mio coinvolgimento con il CNAO è progressivamente cresciuto finché, nel 2015 ho deciso di dare le dimissioni dall’Università (dove nel frattempo ero diventato ricercatore di ruolo) per dedicarmi al CNAO a tempo pieno, dove ora sono il Direttore Tecnico della Fondazione. Una conseguenza di questo percorso è che io, ma capita a molti miei colleghi, percepisco il CNAO non solo come un luogo di lavoro, ma come una “mia creatura” da accudire e far crescere. A questo si aggiunge il fatto che lo scopo del nostro lavoro è quello di offrire un’opportunità di guarigione a pazienti con problemi di salute molto gravi: quello del paziente è un pensiero che, per assurdo, in alcune occasioni bisogna cercare di dimenticare, per non perdere lucidità durante un’emergenza impiantistica, ad esempio; ma poi riaffiora e compensa la fatica e l’impegno che sono stati necessari, magari in un periodo particolarmente fitto di accadimenti. Comunque, lo dico sinceramente, nessuno di noi si sente un genio o un supereroe, anche perché non c’è tempo per sedersi sugli allori; di certo è curioso vedere la reazione che hanno le persone a cui capita di raccontare dove lavoro e cosa faccio: molti mi guardano come se fossi arrivato l’altro ieri da Marte e in quel momento, lo confesso, ci si sente un po’ speciali.
Quanti centri che erogano trattamenti di adroterapia ci sono nel mondo? Viene promossa la collaborazione tra i vari centri prestigiosi?
Prima di tutto dobbiamo chiarire che per adroterapia si intende una forma di radioterapia che usa fasci di particelle più “pesanti” delle radiazioni, come raggi X o elettroni, utilizzati nella radioterapia convenzionale. Attualmente le particelle più utilizzate in adroterapia sono protoni e ioni carbonio. Le macchine in grado di accelerare fasci di protoni per scopi clinici (tipicamente ciclotroni) sono ormai disponibili come prodotti commerciali e qualche ospedale se ne sta dotando (si contano poco meno di un centinaio di centri attivi nel mondo). Per accelerare gli ioni carbonio serve invece un sincrotrone, una macchina più complessa e progettata ad hoc. In Europa sono attivi 4 centri che usano sia fasci di ioni carbonio che di protoni: HIT, ad Heidelberg, in Germania, che è anche stato il primo a partire; poco dopo siamo arrivati noi a Pavia e successivamente MedAustron, in Austria e il MIT di Marburgo, ancora in Germania. Nel resto del mondo sono attivi un centro in Cina e uno in Giappone, nazione in cui si sono iniziati a sperimentare i trattamenti con fasci di ioni carbonio già nella seconda metà degli anni ’90. Come si può immaginare, in una comunità così ristretta ci si conosce un po’ tutti ed esiste una conferenza, che si tiene ogni anno (chiamata PTCOG – Particle Therapy Co-Operative Group) in cui vengono presentati i più recenti sviluppi del settore. Oltre a questo, mi fa piacere raccontare che in particolare i quattro centri europei costituiscono un bellissimo gruppo di lavoro, che si riunisce due volte l’anno, per condividere i risultati che stiamo ottenendo nonché i problemi tecnici che abbiamo dovuto affrontare e le soluzioni che abbiamo trovato: le nostre macchine non sono fotocopie l’una dell’altra ma hanno diversi punti in comune, ed è molto utile poter imparare dall’esperienza dei colleghi. CNAO poi ha un legame particolare con MedAustron, che è nato come evoluzione del nostro progetto, aggiornato seguendo lo sviluppo tecnologico dei dieci anni che ci separano, e che abbiamo attivamente contribuito a far partire durante la fase di commissioning. Naturalmente tutto quello che ho detto si riferisce alla parte tecnica, ma in CNAO convivono due anime, quella tecnica e quella clinica, che sono altrettanto importanti: i nostri medici e i fisici medici a loro volta collaborano con i colleghi degli altri centri e in generale del Sistema Sanitario e sono inseriti in progetti di ricerca di varia natura. L’adroterapia è un settore piccolo, ma in continua evoluzione.
Esattamente, di cosa si occupa un ingegnere che gestisce la manutenzione e lo sviluppo dei convertitori elettronici di potenza e della gestione della manutenzione della macchina acceleratrice e degli impianti?
In estrema sintesi si potrebbe rispondere che mi occupo di un po’ di tutto e questo è proprio il bello di questo lavoro. Inizierò parlando della parte di elettronica di potenza, che non solo è la mia specializzazione, ma è anche una delle più corpose: un sincrotrone infatti è una macchina in cui ci sono molti elettromagneti, ognuno dei quali è pilotato da un convertitore di potenza incaricato di far scorrere negli avvolgimenti del magnete la corrente del corretto valore in ogni istante. Alcuni L’acceleratore è un prototipo che è stato progettato con la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e del CERN di Ginevra 18 lavorano a corrente costante, altri eseguono profili variabili nel tempo molto precisi, che prevedono rampe anche molto veloci. Nella nostra sala macchine sono installati circa 150 convertitori elettronici di potenza delle taglie e delle tecnologie più diverse: il più grande è una macchina da 5 MW di picco. Esiste un piano di manutenzione preventiva che prevede una serie di controlli periodici, visivi, meccanici, elettrici e termici, su ogni macchina; inoltre bisogna saper indagare i malfunzionamenti che ogni tanto capitano e risolverli: a volte alcuni componenti cedono completamente, e in quel caso è facile individuare cosa si sia guastato. In altri casi il problema è che la corrente erogata ha una precisione dell’uno per mille invece di essere lo 0.1 per mille, magari in maniera intermittente, e qui andare a capire le cause è un po’ meno facile: a volte sono serviti mesi di misure per stanare il responsabile. I convertitori di potenza sono però solo uno dei sistemi che compongono l’acceleratore: ce ne sono tanti altri altrettanto complessi e sofisticati. Anche gli impianti a supporto dell’acceleratore non sono del tutto ordinari: ad esempio il CNAO è alimentato direttamente dalla rete nazionale ad alta tensione, a 132 kV, e abbiamo una sottostazione di trasformazione da alta e media tensione e due cabine di trasformazione da media a bassa tensione, con una potenza installata di 16 MW, interamente gestite da noi. Ogni sottosistema ha degli specialisti che si occupano della loro manutenzione e lo stesso vale per gli impianti a servizio dell’acceleratore. Uno degli aspetti affascinanti, e che più mi danno soddisfazione, è che per gestire l’esercizio e la manutenzione di tutto il Centro è necessaria una certa trasversalità anche perché spesso il comportamento della macchina dipende in maniera determinante dal modo in cui i sottosistemi interagiscono, andando ad amplificare l’effetto di piccole derive che in altre situazioni sarebbero state completamente innocue. Oltre alla manutenzione propriamente detta bisogna poi occuparsi dell’evoluzione tecnologica dell’acceleratore: dopo 12 anni di funzionamento capita che alcune componenti chiave siano uscite di produzione, ad esempio, oppure che siano disponibili componenti con prestazioni decisamente migliorate. A quel punto si tratta di trovare un modo per integrare i nuovi componenti e installare e testare gli aggiornamenti ma senza poter fare lunghi fermi macchina (per non degradare la qualità dei trattamenti non ci possiamo fermare per più di cinque giorni consecutivi).
Un sistema complesso come questo sicuramente avrà bisogno di manutenzione a carico dell’intero dipartimento tecnico. Che scelte deve prendere giornalmente per far sì che tutto funzioni alla perfezione? Qual è stata la difficoltà più grande incontrata durante il suo percorso?
Le decisioni da prendere sono tante ogni giorno, e spesso non semplici. Una scelta strutturale è stata quella, diversi anni fa, di spingere perché la manutenzione dell’acceleratore fosse completamente svolta in casa. Questo ovviamente comporta dei costi elevati, ma il vantaggio è che chi si occupa della manutenzione conosce molto bene il sistema su cui lavora e sa riconoscere i malfunzionamenti fin da subito. Così la nostra efficienza nel risolvere i problemi della macchina è la più alta che si possa avere, il tutto a beneficio dei pazienti. Tutti i colleghi hanno sposato volentieri questo approccio e spesso, per non ostacolare i trattamenti del giorno successivo, interveniamo di notte, nei festivi o nel fine settimana per la manutenzione. Nella vita di tutti i giorni le decisioni più critiche riguardano come affrontare i problemi tecnici durante le ore di attività clinica: negli ultimi anni, grazie alle migliorie e alle ottimizzazioni che abbiamo implementato, la macchina è diventata molto affidabile (il nostro up-time sfiora il 99%) ma è comunque un dispositivo ad altissime prestazioni e, mi si passi il paragone immodesto, un’auto di formula 1 non sarà mai affidabile quanto una berlina. Eventuali interruzioni durante lo svolgimento dei trattamenti rappresentano un evento molto critico, che potrebbero produrre ritardi e quindi disagio per i pazienti, che vogliamo ridurre al minimo. Per questo abbiamo cercato di mettere a punto una serie di strategie (sistemi ridondati, ottimizzazione delle procedure per mettere in funzione i sistemi di scorta, etc.) per cercare di ridurre il più possibile la durata delle interruzioni. In quei frangenti, come accennavo precedentemente, è molto importante non farsi prendere dall’ansia dovuta al pensiero che i pazienti sono in attesa, e mantenere la calma: con certi sistemi, una piccola distrazione durante un tentativo di ripristino, può avere l’effetto di provocare un danno ben maggiore di quello che si sta cercando di riparare.
Progetti futuri e nuove prospettive personali.
In questo periodo CNAO è in fermento. Pochi mesi fa sono infatti iniziati i lavori di un cantiere che sarà attivo per circa due anni e che ha un duplice scopo: da un lato realizzare una nuova ala, di volume importante, dall’altro modificare profondamente l’edificio esistente. Nella nuova ala verranno installati altri due acceleratori: il primo è un sincrotrone commerciale capace di accelerare fasci di protoni. Può sembrare strano, a prima vista, che nella vita di tutti i giorni le decisioni più critiche riguardano come affrontare i problemi tecnici durante le ore di attività clinica 19 un centro come il nostro senta l’esigenza di dotarsi di una macchina di questo genere, ma c’è un motivo e si chiama gantry: è il nome della linea che trasporta le particelle al paziente che non sarà fissa come le nostre, ma potrà ruotare intorno al paziente stesso, permettendo ai medici di scegliere l’angolo migliore da cui inviare il fascio al paziente, ad esempio per evitare di colpire degli organi particolarmente delicati. Un gantry anche per ioni carbonio al momento è una tecnologia al limite del praticabile: solo due ne esistono al mondo, ma è in corso uno studio in collaborazione tra CNAO, CERN, INFN e MedAustron per sviluppare qualcosa di innovativo, più compatto ed economicamente accessibile. Il secondo acceleratore è invece pensato per la Boron Neutron Capture Therapy, un tipo di radioterapia che, sfruttando un fascio di neutroni e un farmaco che diffonde boro nelle cellule tumorali, sarà potenzialmente in grado di trattare anche pazienti con metastasi: si tratta di un approccio ideato una trentina di anni fa, ma che finora non è quasi mai stato applicato per la difficoltà di avere a disposizione fasci di neutroni delle giuste caratteristiche, che invece si potranno generare con questa nuova macchina. Alla fine del 2022 inoltre si concluderà un progetto cofinanziato dalla Regione Lombardia e iniziato nel 2019 grazie al quale installeremo nell’acceleratore esistente una terza sorgente di particelle capace di produrre fasci anche di altre specie, come elio e ossigeno, che secondo molti gruppi di ricerca hanno interessanti prospettive terapeutiche e che anche noi vorremmo sperimentare. Recentemente abbiamo messo in funzione la nuova versione del Master Timing, il sistema elettronico che sincronizza tutti i dispositivi dell’acceleratore. Anche questo è un progetto interno finanziato da un bando di sviluppo tecnologico della Regione Lombardia. Infine, ma ci sarebbero altri progetti di cui parlare, stiamo ultimando un lavoro, durato quasi tre anni, per implementare un diverso sistema di estrazione delle particelle dal sincrotrone, chiamato RF-Knock-Out, che migliorerà la qualità del fascio prodotto dalla macchina e, insieme al nuovo timing, permetterà di implementare la multi-accelerazione, una tecnica che permette di risparmiare tempo durante i trattamenti minimizzando la quantità di particelle che rimane inutilizzata. Oltre a questi, ci sono poi tutti i progetti di ricerca in cui sono coinvolti i colleghi medici e fisici medici, progetti di cui non conosco purtroppo i dettagli, ma di cui li sento in basso, spesso parlare con entusiasmo…
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