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Donne e lavoro: una lotta più che centenaria

Quella tra donne e lavoro è una lotta più che centenaria. In passato, se una donna lavorava, era scandalo. Oggi le donne lavoratrici si trovano ancora in situazione di svantaggio rispetto agli uomini, anche in ambito di sicurezza sul lavoro

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La lunga battaglia per i diritti delle donne

Giornata internazionale della donna: quella dell’8 marzo è una data riconosciuta in tutto il mondo. Attenzione però: parlare di Festa della donna non è completamente esatto, perché c’è poco da festeggiare, ma molto da riflettere. La parità di genere è uno dei grandi temi caldi di questo periodo storico, ed è il numero 5 fra gli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Come nasce la Giornata internazionale della donna? Storicamente, uno degli eventi eclatanti che hanno portato alla sua celebrazione è l’incendio della fabbrica tessile Triangle di New York (1911), in cui lavoravano centinaia di donne. I lavoratori della Triangle erano soliti essere chiusi a chiave dai responsabili, che avevano paura che i dipendenti potessero rubare o assentarsi troppo a lungo. Quando i piani alti dell’edificio presero fuoco, decine di persone rimasero bloccate nelle stanze e, purtroppo, morirono senza poter fare nulla, molti lanciandosi dalle finestre nel disperato tentativo di salvarsi. La fabbrica era già nel mirino dell’opinione pubblica a causa delle scarse condizioni lavorative e degli orari eccessivamente prolungati. Questo incendio, in seguito al quale si capì che era necessario attivare delle procedure di sicurezza sul lavoro, fu la classica goccia che fece traboccare il vaso, ma non fu certamente l’unica ragione per cui venne istituita la Giornata della donna. Le donne lottavano per i loro diritti già da molto: basti pensare alle suffragette, le attiviste del movimento di emancipazione femminile nato nel 1872 che protestavano per ottenere il suffragio universale femminile.

Nel 1907 si tenne il VII Congresso della II Internazionale socialista, a cui parteciparono personalità marxiste di spicco fra cui Rosa Luxemburg e Lenin: in quella sede si discusse anche della questione femminile, che venne portata avanti negli anni successivi con sporadiche giornate della donna, ovvero scioperi per il diritto al voto e i diritti femminili in generale, sempre organizzati dai partiti socialisti. In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d’Italia, che la celebrò il 12 marzo. Fra scioperi e proteste, la Giornata della donna venne ufficialmente istituita il 16 dicembre 1977, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite propose a ogni Paese di dichiarare un giorno all’anno Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale. L’Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e l’urgenza di porre fine a ogni discriminazione, garantendo la partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro Paese. L’8 marzo, già festeggiato in alcuni Paesi, fu selezionata da molti come data ufficiale.

Donne, lavoro e sicurezza

Prendiamo ora in considerazione il rapporto fra donne e lavoro. La strada da percorrere è ancora lunga, basti pensare a tutte le madri che ultimamente denunciano le loro difficoltà a essere assunte, solo perché si pensa che, avendo figli, la qualità della loro vita lavorativa sarà molto scarsa. Uguaglianza salariale, accesso al mercato del lavoro e conciliazione famiglia-lavoro sono fra gli obiettivi prioritari del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E cosa succede quando si parla di donne e sicurezza sul lavoro? Le caratteristiche biologiche tipiche del sesso maschile e di quello femminile sono differenti, per cui variano anche le conseguenze che i rischi chimico, fisico, biologico, ergonomico, e di sovraccarico muscolo-scheletrico hanno sull’organismo. Ad esempio, ci sono differenze nell’assorbimento e nell’eliminazione degli agenti chimici, a parità di esposizione. È più complicato, invece, stabilire il rischio occupazionale legato al genere di un individuo: quando viene chiesto di svolgere (o non svolgere) un’attività in base alla reale capacità fisica, e quando si assegnano lavori diversi solo perché si è uomo o donna? Ci riferiamo a questo problema con il termine “segregazione occupazionale”: lavori e mansioni vengono spesso attribuiti in base al genere, non alle attitudini, è così che molti settori lavorativi presentano un’occupazione prevalentemente maschile o femminile. Precarietà, ruoli subordinati e retribuzione inferiore sono i tre elementi che, ancora oggi, caratterizzano il lavoro femminile: spesso si considera che una donna lavoratrice debba semplicemente essere tutelata da possibili violenze, oppure quando madre o in stato di gravidanza, ma, in base a quanto detto finora, ribadiamo che non è sufficiente.

Anche se molto lenta, è in corso un’evoluzione di questa situazione. Ad esempio, alcuni articoli del Decreto Legislativo 81/08 sottolineano la necessità di valutare i rischi “anche in un’ottica di genere”: art. 6, comma 8, lett. I; art. 8; art.28 e art. 40, comma 1. L’abbandono del modello neutro è il primo passo per una maggiore inclusione nei confronti delle donne e per un miglioramento generale della salute e sicurezza sul lavoro. L’obiettivo della parità di genere è stato inserito anche nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il piano approvato nel 2021 dall’Italia per rilanciare l’economia dopo la pandemia di COVID-19, lavorando in ottica green e di sviluppo digitale. Sono stati stanziati, per l’appunto, oltre 9 miliardi di euro, volti proprio alle politiche di inclusione sociale (e, quindi, di parità di genere). Un altro strumento per la promozione della parità di genere sul lavoro è il documento UNI/PdR 125:2022, “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere”. Il documento, rilasciato dall’Ente Nazionale di Normazione UNI, fornisce alle organizzazioni di ogni settore indicazioni per promuovere la parità di genere al loro interno e ottenere la certificazione corrispondente. Per dotarsi di tale certificazione, è necessario redigere una politica interna relativa all’argomento, stabilire KPI e monitorarli e dotarsi di un comitato per il raggiungimento della parità di genere, che possa verificare che tutto si svolga al meglio, abbattendo pregiudizi e stereotipi di genere. Se non basta essere consci dell’importanza di raggiungere questi obiettivi, il PNRR prevede anche alcuni incentivi di tipo economico per chi sceglie di impegnarsi nell’ottenimento della relativa certificazione: esoneri contributivi, agevolazioni per la partecipazione a bandi e gare pubbliche, assegnazione di risorse per permettere ai propri dipendenti di raggiungere la parità salariale.

Eliminare discriminazioni e violenze, garantire l’accesso delle donne all’istruzione, alle cure mediche e a un lavoro dignitoso, dar loro una voce nei processi decisionali: la parità di genere porterà benefici all’intera umanità. Nonostante ci sia ancora molto da fare, come anticipato, questo argomento è ormai al centro della nostra vita quotidiana: il problema viene sollevato in continuazione e questo è un incentivo a darsi da fare sempre di più per risolverlo. Una delle ultime buone notizie in questo ambito è che, per la prima volta, il Presidente della Corte Suprema di Cassazione non è uomo: la Presidente appena entrata in carica è Margherita Cassano, già vice del presidente uscente. Si tratta di una svolta storica per la magistratura italiana e per l’intero Paese. La strada intrapresa, insomma, è quella corretta. Bisognerà continuare a percorrerla nel tempo, impostando una mentalità comune in grado di non creare ulteriori disparità fra i generi e superando gli ostacoli esistenti.

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