Editoriale Alisea Journal 7 – Bruno Chiavazzo parla di sostenibilità ambientale
Non sono passati molti anni da quando il binomio “sostenibilità e innovazione” era ritenuto poco più di un ossimoro. Cioè due concetti sostanzialmente opposti, in quanto molte innovazioni tecnologiche e industriali avevano (e in alcuni casi ancora hanno) un impatto negativo sulla natura e sul benessere delle persone.
Oggi, invece, grazie alla maggiore informazione e alla presa di coscienza di molti governi, l’innovazione può essere determinante per migliorare l’ambiente e la qualità di vita delle persone. Ecco perché si stanno diffondendo modelli di business che, oltre ad essere innovativi, sono anche “sostenibili”. Come dire: anche il capitalismo si evolve ed accanto al profitto, da sempre il faro ineludibile, si va facendo strada anche il concetto che i soldi, per quanto essi siano, alla fine servono a poco se vivi male, in città inquinate, in ambienti di lavoro pessimi, in case o ville che non sono immuni dagli agenti atmosferici deleteri.
L’Amministratore Delegato di Alisea, Andrea Casa, ha recentemente riportato alla ribalta uno studio effettuato in Inghilterra riguardante l’igiene dell’aria che respiriamo nelle nostre case e nei luoghi di lavoro (di cui è uno dei maggiori esperti in Italia): ebbene è emerso che dalle biopsie dei polmoni dei venti pazienti campionati, sono state riscontrate una quantità di microplastiche equivalente a quelle contenute in una carta di credito. “Si parva licet componere magnis” (“Se è lecito confrontare le cose piccole con le grandi”), diceva Virgilio, una locuzione che Andrea Casa invita a tener ben presente quando si parla di tecnologia e salute.
Le aziende hanno cominciato a capire che la sostenibilità ambientale non è un “optional”, un’aggiunta, una tinteggiatura di colore per un business che in fondo non cambia. Continuare a perseguire l’ideologia del “business as usual” porterà inevitabilmente nel medio periodo al fallimento dell’impresa e del mondo ad essa circostante. L’impresa vincente sarà quella che saprà integrare, nella propria strategia aziendale, la tecnologia con gli obiettivi di sostenibilità ambientale: una responsabilità che non riguarda più solo le multinazionali, ma tutte le aziende, piccole e medie.
I consumatori, infatti, sono molto più evoluti e disposti anche a pagare di più per un prodotto sostenibile, attento all’ambiente
e alla società: una motivazione in più per investire in tecnologia sostenibile. Un recente Rapporto dell’Onu, denominato “Agenda 2030”, ha stimato che il giro d’affari del settore tecnologico oscilla tra i 5.000 e i 10.000 miliardi di dollari e occupa oltre 80 milioni
di persone a fronte, però, di un mondo che estrae 1,75 volte le risorse che il pianeta offre. Una contraddizione che potrebbe avere riflessi drammatici.
Infatti, se da un lato assistiamo a scoperte fondamentali come la scissione dell’atomo, la decodifica del Dna, computer che superano di molto la capacità di calcolo del cervello umano, dall’altro dobbiamo constatare che la tecnologia ha anche contribuito al miglioramento delle capacità belliche: nel secolo scorso oltre 100 milioni di persone sono state uccise con armi sempre più letali e “innovative”. La mattanza prosegue ancora adesso con la guerra in Ucraina e i sommovimenti in Medio Oriente e in Africa.
E’ sempre l’antico refrain: la tecnologia è fondamentale per il progresso umano, ma il suo impatto dipende da come viene utilizzata. Una tematica di strettissima attualità che ha consentito al film di Christopher Nolan, “Oppenheimer”, di fare incetta di Oscar nell’ultima edizione.
Bruno Chiavazzo